IL PRETORE A scioglimento della riserva; RILEVA IN FATTO Con ricorso depositato il 15 giugno 1989 il comune di Foza proponeva opposizione a d.i. emesso dal g.l. di Vicenza il 16 maggio 1989 e notificato il 26 maggio 1989 con il quale veniva ingiunto su richiesta dell'I.N.P.S. il pagamento della somma di L. 32.000.263 a titolo di contributi previdenziali e sociali omessi ed accessori. Rilevava che l'I.N.P.S. fondava detta pretesa sulla qualificazione del rapporto di lavoro instaurato dal sopraindicato comune con tal Martini Dilvo come avente natura subordinata, anziche' natura autonoma. Contestava detta qualificazione giuridica, atteso che il Martini aveva sottoscritto un contratto d'opera con il comune de quo avente ad oggetto il trasporto degli alunni della scuola materna, e che, in concreto, la prestazione eseguita dal Martini non aveva i requisiti della subordinazione, ne' tanto meno poteva ritenersi costituito tra le parti un rapporto di pubblico impiego. Concludeva per la revoca del d.i. opposto. Si costituiva l'I.N.P.S. cosi' prospettando le proprie ragioni. Assumeva che l'Ispettorato del lavoro, a seguito di sopralluogo del 20 giugno 1988 aveva accertato l'affidamento in via continuativa dal 1 settembre 1983 al 31 marzo 1988, da parte del comune opponente, del servizio trasporto alunni da e per le scuole del territorio comunale al sig. Martini Dilvo, e cio' in forza di un formale contratto d'opera, mentre il concreto svolgimento del rapporto di lavoro corrispondeva in toto ad un rapporto di lavoro subordinato. Concludeva per la reiezione del ricorso. Nel corso di causa, a seguito della emanazione della legge 23 dicembre 1992, n. 498 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 29 dicembre 1992, serie generale, n. 304) e partitamente dell'art. 13, l'I.N.P.S. sollevava eccezione di incostituzionalita' nella citata norma per violazione degli artt. 3, 38, 101 e 104 della Costituzione. Analoghi ricorsi venivano presentati dal comune di Asiago e dal comune di Foza. Riunite le cause e tutto cio' premesso. OSSERVA IN DIRITTO Il contratto stipulato tra il Martini ed il comune di Foza (cosi' come quelli indicati negli altri due ricorsi riuniti) rinnovato di anno in anno, e formalmente definito d'opera, prevede che il lavoratore - coltivatore diretto - si assuma il servizio trasporto alunni della scuola dell'obbligo mediante pulmino di proprieta' dell'amministrazione comunale; il comune si accolla le spese di manutenzione, gestione, assicurazione e di carburante, indica analiticamente i percorsi da effettuarsi giornalmente; corrisponde al lavoratore un compenso giornaliero lordo. L'obbligo del lavoratore consiste nel guidare detto pulmino e provvedere alla pulizia dello stesso. In altri contratti stipulati tra i comuni opponenti e i lavoratori la p.a. si e' inoltre riservata la facolta' di impartire direttive e modifiche unilaterali dei tempi e delle modalita' per l'espletamento del servizio (es. comune di Asiago), e la retribuzione e' stata determinata ad ore (L. 7.000 orarie per cinque ore giornaliere, come risulta dal contratto stipulato dal comune di Asiago). Tenuto conto di tutti tali elementi, ritiene il g.l., in adesione agli assunti difensivi dell'I.N.P.S., doversi qualificare i rapporti di lavoro in oggetto come aventi natura subordinata e non autonoma. E cio' sia con riferimento ai c.d. "indici" rivelatori della subordinazione, evidenziati compiutamente dalla meno recente giurisprudenza di legittimita' (inserimento del lavoratore nella organizzazione del datore; uso di mezzi e strumenti del datore; assenza di rischio economico d'impresa; modalita' di retribuzione de- terminate in base al tempo e non al risultato ecc.); sia con riferimento alla piu' recente giurisprudenza di legittimita' tendente a rivalutare, ai fini classificatori del contratto di lavoro, la effettiva volonta' negoziale delle parti, cosi' come manifestatasi non solo al momento della stipulazione del contratto ma anche nella fase esecutiva del rapporto, nella quale emerge quale sia l'effettivo assetto dei reciproci interessi effettivamente voluto dalle parti. Secondo tale orientamento vanno individuati come tratti distintivi del rapporto di lavoro subordinato, inteso come vincolo giuridico, l'assoggettamento ad etero-direzione (sinteticamente definito come "obbligo di obbedienza") (cfr. Cass. 10 luglio 1991, n. 7608); la continuita' della prestazione nel tempo, di tal che il creditore della prestazione lavorativa puo' fare affidamento sulla estesione nel tempo della obbligazione, essendo impossibile contrattualmente per il lavoratore rifiutare in qualsiasi momento l'esecuzione della attivita' (c.d. obbligo giuridico di rendere la prestazione); il coordinamento spazio-temporale della prestazione inteso come vincolo contrattuale circa la collocazione spaziale e temporale della prestazione stessa (e non come modo di essere storicamente osservabile dell'attivita' esecutiva del lavoro). Alla luce di tali criteri, i rapporti di lavoro in oggetto vanno qualificati come di lavoro subordinato. L'art. 13 della legge n. 498/1992 statuisce che: "le province, i comuni, le comunita' montane e le Ipab non sono soggetti, relativamente ai contratti d'opera o per prestazioni professionali a carattere individuale da essi stipulati, all'adempimento di tutti gli obblighi derivanti dalle leggi in materia di previdenza e di assistenza, non ponendo in essere i contratti stessi, rapporti di subordinazione". Recita il secondo comma: "le disposizioni di cui al primo comma hanno natura interpretativa e si applicano anche ai contratti gia' stipulati alla data di entrata in vigore della presente legge". I casi di specie sottoposti all'esame del giudicante vanno decisamente risolti in applicazione di tale citata norma, in forza della quale e' inibita al giudice la facolta' di configurare i rapporti di lavoro sopra indicati come di lavoro subordinato, dovendo questi essere considerati, ope legis, di lavoro autonomo. Da cio' discende la rilevanza della questione di incostituzionalita' eccepita dall'I.N.P.S. e ritenuta fondata da questo giudicante, seppur per motivi parzialmente diversi da quelli enunciati dall'ente convenuto. Ed invero puo' dubitarsi della incostituzionalita' del primo e soprattutto del secondo comma dell'art. 13 della legge n. 498/1992 sotto vari profili. Il primo comma appare violare il principio costituzionale dell'art. 36. Infatti con tale norma e' detto che i soggetti pubblici ivi indicati non sono soggetti relativamente ai contratti d'opera all'adempimento di tutti gli ogglighi derivanti da leggi in materia di previdenza ed assistenza, non ponendo in essere, questi contratti, rapporti di subordinazione. Gia' la Corte costituzionale con sentenza n. 121 del 23-25 marzo 1993, dichiarando la parziale illegittimita' costituzionale dell'art. 11 della legge 22 giugno 1961, n. 520, in relazione all'art. 36 della Costituzione ha precisamente evidenziato che non e' consentito al legislatore "negare la qualificazione giuridica dei rapporti di lavoro subordinati a rapporti che oggettivamente abbiano tale natura, ove da cio' derivi l'inapplicabilita' delle norme inderogabili previste dall'ordinamento per dare attuazione ai principi, alla garanzia e ai diritti dettati dalla Costituzione a tutela del lavoro subordinato". Nel caso in esame il legislatore ha inteso proprio contravvenire a tale divieto, escludendo comunque l'applicazione della normativa previdenziale-assistenziale a rapporti che di fatto potrebbero essere ritenuti di lavoro subordinato. Sotto questo profilo appare poi violato anche l'art. 38 della Costituzione. Va infine rilevato che il primo comma dell'art. 13 citato viola inoltre il principio di uguaglianza disposto dall'art. 3 della Costituzione, atteso che viene introdotta una irragionevole distinzione tra datori di lavoro privati e datori di lavori pubblici e, all'interno di questi ultimi, tra datori di lavoro pubblici "privilegiati" (comuni, province, Ipab, comunita' montane e loro consorzi) per i quali vale la regola in esame, ed altri "non privilegiati" (es. regioni, e amministrazione statale o enti di emanazione degli stessi) esclusi dall'applicazione di tale regola. La violazione del principio di uguaglianza riguarda anche i prestatori di lavori in favore degli enti pubblici citati dall'art. 13 e lavoratori esercenti la medesima attivita' per conto di enti pubblici diversi da quelli tassativamente indicati dall'art. 13. L'irragionevolezza della norma in esame appare pertanto di immediata percezione. La censura di incostituzionalita' del primo comma dell'articolo citato ha rilevanza nella presente controversia, atteso che tale disposizione, per effetto del secondo comma avente formalmente natura interpretativa, tende a disciplinare anche il caso di specie. Passando all'esame del secondo comma dell'art. 13 ritiene questo giudicante che esso violi l'art. 3 della Costituzione. Ed invero il secondo comma attribuisce natura interpretativa alle disposizioni del primo comma, conferendogli efficacia retroattiva ossia la possibilita' di applicazione anche ai contratti gia' stipulati al dicembre 1992. Questo giudicante dubita della natura interpretativa e non innovativa della norma in esame. Ripetutamente la suprema Corte (es. Cass. 6 marzo 1992, n. 2740) e la Corte costituzionale (es. 28 gennaio 1993, n. 39) hanno affermato che perche' una norma possa qualificarsi di interpretazione autentica non e' sufficiente la qualificazione riportata nel titolo o nel testo della norma, ma occorre indagare la sua reale natura. La predetta qualifica va riservata alla norma che si riferisca e si saldi con quella da interpretare ed intervenga esclusivamente sul significato normativo di quest'ultima, senza pero' intaccare o integrare il dato testuale ma solo chiarendone o esplicandone il contenuto ovvero escludendo od enucleando uno dei significati possibili, e cio' al fine di imporre poi all'interprete un determinato significato normativo. Nel caso di specie, le norme da interpretare, ossia quelle di qualificazione del rapporto (art. 2222 e segg. del codice civile ed art. 2094 del codice civile) sono chiare, e non necessita di interpretazioni autentiche, soprattutto se in riferimento alla qualita' "personale" del datore di lavoro. Tale norma appare dunque confliggere con il principio di ragionevolezza desumibile dall'art. 3 della Costituzione. Va da ultimo rilevato che non appare trascurabile l'osservazione circa il reale "oggetto" della interpretazione "autentica" la' dove si fa riferimento non a norme di legge bensi' a contratti. L'interpretazione autentica, per essere tale, deve avere ad oggetto norme generali ed astratte. Nel caso in esame, l'interpretazione autentica riguarda contratti specifici, relativi a precisi casi concreti (datore di lavoro; comune, province etc.; prestatore di lavoro con contratto d'opera o per prestazioni professionali), e va ad interpretare dei veri e propri fatti concreti. Se appare indubitabile che spetti al legislatore il potere di effettuare una data interpretazione di una legge o di una disposizione di legge, non essendo cio' di per se' lesivo della sfera riservata al potere giudiziario, non sembra, ad avviso di questo giudicante, che cio' possa riguardare l'interpretazione dei contratti stipulati prima della emanazione della citata legge n. 498/1992, ne' dei rapporti di fatto posti in essere in esecuzione dei predetti contratti. In tal senso puo' dubitarsi della violazione, da parte delle norme in esame, degli artt. 101 e 104 della Costituzione. Sotto altro profilo appare infine violato l'art. 36 della Costituzione il quale collega alle prestazioni di lavoro subordinato il diritto all'equa retribuzione, che matura contestualmente all'esecuzione delle predette prestazioni, cosicche' una esclusione ex post della natura subordinata del rapporto finisce per incidere negativamente sui diritti oramai definitivamente acquisiti al patrimonio del lavoratore.